72. Il pentimento di un’ipocrita
Dio Onnipotente dice: “Servire Dio non è un compito semplice. Coloro che non hanno cambiato la propria indole corrotta non potranno mai servire Dio. Se la tua indole non è stata giudicata e castigata dalla parola di Dio, essa rappresenta ancora Satana; ciò dimostra che il tuo servizio a Dio è frutto delle tue buone intenzioni e che è basato sulla tua natura satanica. Servi Dio con la tua inclinazione naturale e secondo le tue preferenze personali. Inoltre, sei convinto che le cose che sei disposto a fare siano ciò che compiace Dio mentre le cose che non desideri fare siano invise a Dio, dunque svolgi il tuo lavoro unicamente in base alle tue preferenze. Questo si può forse definire servizio a Dio? Alla fine, la tua indole vitale non cambierà di una virgola, anzi, il tuo modo di servire ti renderà ancora più testardo, e così la tua indole corrotta sarà ancora più radicata. In questo modo, svilupperai interiormente regole sul servizio a Dio fondate principalmente sul tuo carattere e sull’esperienza derivata dal servizio svolto secondo la tua indole. Queste sono le esperienze e gli insegnamenti dell’uomo; questa è la filosofia umana del vivere nel mondo. Persone di questo genere si possono classificare come farisei e funzionari religiosi. Se non apriranno gli occhi e non si pentiranno, allora si trasformeranno sicuramente in falsi cristi e anticristi che inganneranno le persone negli ultimi giorni. I falsi cristi e gli anticristi che furono preannunciati emergeranno tra tali persone” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Il servizio religioso deve essere ripulito”). Un tempo, queste parole di Dio mi facevano pensare ai farisei ipocriti, al clero e a tutti quegli empi anticristi ossessionati dal prestigio. Credevo che Dio si riferisse proprio a loro. Egli stava rivelando qualcosa che è presente in tutti noi, lo sapevo; e anch’io possedevo quel tipo di indole corrotta. Ma non ero in grado di comprendere me stessa per davvero, quindi a volte i farisei, gli anticristi e gli ingannatori sembravano veramente lontani da me. Io non ero così, non ero mai arrivata a quel punto. Credevo da anni, facevo buone azioni e, nel mio dovere, avevo pagato un prezzo. Qualsiasi compito mi venisse assegnato, io obbedivo e lo eseguivo. E poi, non mi affannavo per diventare un capo, né mi importava di avere prestigio o meno: facevo quello che dovevo. Come potevo essere un anticristo, un imbroglione? In realtà, però, vivevo completamente dentro le mie nozioni e fantasie e, in seguito, alla luce dei fatti, queste mie nozioni sono state ribaltate.
Sono partita per occuparmi del lavoro di evangelizzazione in una Chiesa fuori città. Di lì a poco, quella parte del lavoro ha iniziato a procedere più speditamente e i capi mi apprezzavano molto. A volte mi cercavano per discutere anche di altri aspetti, per consultarsi con me. Inoltre, credevo da tanto tempo ed ero capace di affrontare le avversità per svolgere il mio dovere, quindi i fratelli in un certo senso mi ammiravano. Mi vedevo come su un piedistallo. Avevo una fede pluriennale ed ero in una posizione di comando, quindi non potevo essere paragonabile agli altri, dovevo per forza sembrare migliore dei miei fratelli. Ero convinta di non poter rivelare una corruzione peggiore della loro, o di mostrare le stesse debolezze o negatività. In caso contrario, cosa avrebbero pensato di me? Non avrebbero forse detto che la mia statura era scarsa, pur dopo tutti quegli anni da credente? Non mi avrebbero, dunque, disprezzata? Più avanti, sono stata trattata da un capo per aver violato i princìpi, nello svolgimento del mio dovere. A detta sua, dopo tanti anni di fede, ancora mi mancavano discernimento e realtà della verità. Che vergogna ho provato! Che disonore! Eppure, non ho riflettuto sulla mia corruzione e sui miei limiti, né ho perseguito la verità per rimediare alle mie lacune. Anzi, ho declamato un mucchio di parole e di dottrine vuote, simulando una conoscenza di me stessa, fingendomi una persona spirituale per nascondere che mi mancava la realtà della verità.
Ricordo che, una volta, un collaboratore credente nel Signore mi ha detto di voler approfondire la vera via. Il capo mi ha chiesto di andare immediatamente a portare testimonianza all’opera di Dio degli ultimi giorni. Ho assecondato questa richiesta, per scoprire poi che quella persona aveva molte nozioni difficili da eliminare. All’epoca, ero parecchio impegnata, quindi ho momentaneamente accantonato quel compito. Un paio di settimane dopo, il capo mi ha domandato perchè avessi fatto passare tanto tempo senza condividere testimonianza con quel fratello, il quale voleva approfondire la vera via ed era alla guida di numerosi credenti. Tutti loro bramavano il ritorno del Signore, e io non gli avevo ancora dato testimonianza sull’opera di Dio degli ultimi giorni! Mi sono sentita un po’ in colpa, e allora ho subito dato una spiegazione: non mi era stato possibile, perché nel frattempo erano uscite fuori altre cose da fare. Questa mia risposta ha fatto infuriare il capo: mi ha detto che, nel mio dovere, ero irresponsabile e noncurante, che menavo il can per l’aia e avevo gravemente ostacolato il nostro lavoro di evangelizzazione. Mi ha rimproverata assai duramente. In quel momento erano presenti un sacco di fratelli e mi sentivo la pelle del viso in fiamme. Ho pensato: “Non puoi lasciarmi un po’ di dignità ed essere meno dura con me? Ok, ho sbagliato, lo so… adesso posso andare a condividere il Vangelo con lui? Non c’è bisogno di trattarmi con tanta severità”. Mi giustificavo anche con me stessa: non credevo di essere oziosa, anzi, tutto il giorno predicavo il Vangelo, dalla mattina alla sera. Eppure, lei diceva che ero negligente e irresponsabile. Cos’altro mi si poteva chiedere? Svolgevo un dovere, a mio avviso, troppo difficile. Dopo quella riunione, mi sono chiusa in camera e ho pianto parecchio. Mi sentivo trattata ingiustamente, ero negativa e piena di convinzioni errate su Dio. Dentro di me faceva capolino una sensazione proditoria. Ho pensato che, siccome il capo era stato così duro con me, Dio doveva detestarmi: come potevo continuare a svolgere quel dovere? Forse dovevo solo prendermi la colpa, farmene una ragione e mollare, così non avrei rallentato il lavoro della casa di Dio e non avrei eseguito un compito ingrato. Piangevo come una fontana e sentivo di non essere nel giusto stato. Ero credente da così tanti anni eppure non riuscivo a sopportare di essere trattata un po’ duramente. Ho ragionato con Dio, mettendomi in competizione con Lui. Volevo addirittura gettare la spugna. Non avevo affatto una vera statura. Mi sono tornate in mente le parole di Dio: rimanete fedeli al vostro dovere anche se il cielo dovesse cadere. Questo pensiero mi ha molto spronata. Non importava cosa pensassero di me Dio o il capo: non potevo crollare, dovevo rimanere in piedi ed essere all’altezza della sfida, per quanto fosse arduo il mio dovere. Se guardavo la situazione da quella prospettiva, non mi sentivo così infelice. Mi sono subito asciugata le lacrime e sono andata a discutere con gli altri. Nel giro di qualche giorno, quel collaboratore era entrato nell’ovile. Ma, in seguito, non ho cercato la verità con cuore onesto e non ho riflettuto sui miei problemi. Anzi, ho continuato a svolgere il mio dovere basandomi sulla mia coscienza e volontà. Credevo di avere una certa statura e realtà.
In realtà, il capo mi ha trattata perché ero irresponsabile, sceglievo sempre le scorciatoie, e non svolgevo un lavoro pratico. Quelli erano problemi veramente seri. Ero responsabile dell’opera di evangelizzazione e, quando ho visto una persona piena di nozioni, non sono stata pronta a gettarmi a capofitto nella condivisione e nella testimonianza. Ho tranquillamente accantonato la questione, lasciando passare un paio di settimane. Così, sono stata di intralcio a tanti che volevano approfondire la vera via e accogliere il ritorno del Signore! Essere tanto noncurante nel mio compito significava resistere a Dio e offendere la Sua indole. Non ho mai dato segno di indolenza e sono sempre stata in grado di pagare un prezzo per il mio dovere però, ogni volta che mi trovavo di fronte a una sfida, non mi concentravo sul cercare la verità per risolvere il problema e fare bene il mio dovere. Anzi, mi tiravo indietro e facevo quello che più mi aggradava, mettendo da parte l’incarico che Dio mi aveva commissionato, con grande indifferenza. Si può forse considerare devozione? Il capo aveva parlato del mio atteggiamento superficiale e irresponsabile nel mio dovere, della mia indole satanica ingannevole, e non era la prima volta che facevo una cosa del genere. Il capo aveva analizzato nel dettaglio la situazione per aiutarmi a conoscere me stessa, pentirmi e cambiare, e io invece non riflettevo onestamente su di me, né capivo da dove scaturissero i miei problemi. Esteriormente, accettavo di essere potata e trattata mentre, dentro, non avevo alcuna vera comprensione di me stessa. Ecco perché ho espresso vuote parole e dottrine durante la riunione, fingendo poi di aver acquisito auto-consapevolezza. Ho ammesso di essere stata irresponsabile nel mio compito e di aver rallentato il lavoro della casa di Dio, danneggiandolo gravemente, ho ammesso che il capo aveva tutte le ragioni per rimproverarmi e che, poiché parlava di aspetti che riguardavano la mia natura, la mia indole satanica, non potevo analizzare cosa vi fosse di giusto o di sbagliato in ciò che avevo fatto. Non ho mai condiviso sugli errori da me compiuti, sulla natura e sulle conseguenze delle mie azioni, né su quale tipo di indole corrotta avessi rivelato in quel modo superficiale di svolgere il mio dovere e su quali assurdi ragionamenti e nozioni albergassero in me. Non ho badato a questi dettagli. Di cosa ho parlato, invece? Di come mi sono affidata a Dio, riuscendo ad avere un accesso positivo. Ho continuato a discutere di questi tipi di comprensioni positive. Ho detto che mi sentivo negativa e mi sono lamentata quando sono stata trattata e volevo gettare la spugna. Però, pensare alle parole di Dio mi ha davvero ispirata e ho sentito di non potere crollare. Dio aveva operato così tanto in me e mi aveva dato molto, quindi dovevo avere una coscienza: non potevo deluderLo. Perciò ho pensato che non mi importava di essere potata e trattata, che qualsiasi tipo di dovere, per quanto difficile, dovevo svolgerlo bene, e che il capo mi trattava solo per portarmi a riflettere su me stessa e a conoscermi, per farmi pentire e cambiare. Quando gli altri hanno ascoltato questo discorso, non avevano alcun discernimento sui miei problemi e sulla mia corruzione, pertanto non ritenevano che avessi danneggiato poi molto il lavoro della casa di Dio. Al contrario, a loro avviso, il capo era stato troppo duro con me, e mi aveva potata e trattata per un piccolo errore nel mio lavoro. Hanno mostrato grande empatia e comprensione. E vedendo che, dopo essere stata potata così duramente, non ero diventata negativa, anzi, riuscivo a continuare a farmi carico del mio dovere, hanno concluso che io sapessi davvero comprendere la verità e che avessi statura. Mi ammiravano veramente e mi adulavano. In quell’occasione, alcuni mi hanno detto che trovavano encomiabile il modo in cui sono rimasta salda e ho continuato a svolgere il mio dovere, pur essendo stata trattata così severamente. Qualcun altro ha aggiunto che il mio compito non era affatto semplice, e non solo ci mettevo tante energie, ma ero stata rimproverata quando mi era sfuggito qualcosa. Mi hanno vista asciugarmi le lacrime e rimettermi a lavorare, hanno confessato che, al posto mio, sarebbero crollati molto prima, e che sentivano di non avere quella statura. Hanno ascoltato la mia condivisione e non hanno compreso il cammino di pratica per accettare trattamento e potatura, o che essere trattati e potati è segno dell’amore e della salvezza di Dio. Anzi, hanno frainteso Dio e alzato la guardia, allontanandosi da Lui e avvicinandosi a me. Dopo quell’episodio, sono stata trattata in più di un’occasione e, ogni volta, andava sempre allo stesso modo. Puntualmente parlavo di vuote dottrine, simulavo spiritualità e auto-consapevolezza, fingevo di avere statura e realtà, e prendevo in giro tutti i fratelli. Ne ero totalmente all’oscuro, come intorpidita, ed ero assai orgogliosa di me stessa, perché rimanevo in piedi, nonostante tutto. Ero incredibilmente compiaciuta di me, convinta di possedere statura e verità realtà. Sono diventata sempre più arrogante e sicura di me.
Una volta, un fratello mi ha fatto notare una problematica nel mio dovere. Non volevo accettarlo; l’ho accusato di voler cercare problemi e di cercare il pelo nell’uovo Questa cosa mi ha infastidita non poco. Ma temevo che qualcuno potesse percepire la mia arroganza dopo tutti quegli anni di fede e pensare male di me. Magari il capo lo avrebbe scoperto e mi avrebbe accusata di non saper accettare la verità, quindi ho finto e mi sono sforzata di evitare lamentele. L’ho invitato, con voce calma, a indicarmi quali fossero le problematiche da lui riscontrate, così le avremmo analizzate una ad una. Se ci fosse stato bisogno, avremmo chiesto aiuto al nostro leader. Lui mi ha fatto una lista di tutti i problemi, punto per punto, e io puntualmente li confutavo, uno per uno. Alla fine, avevo dato una spiegazione per la maggior parte delle questioni da lui indicate. Per me, il problema era risolto, con mia grande letizia. Mentre per lui, non era esattamente così, e si è rivolto al capo. Alcuni aspetti che lui considerava problematici, in realtà, lo erano per davvero. Il capo se ne è reso conto e mi ha trattata e potata davanti a tutti quanti. Ha detto che ero arrogante e non accettavo i consigli degli altri, che nel mio dovere non agivo secondo i princìpi, e non avevo alcuna verità realtà, dopo tutti quegli anni di fede. Ha aggiunto che non sapevo risolvere nessun problema pratico e che ero ciecamente arrogante e totalmente irragionevole. Quelle parole sono state un brutto colpo, ma non mi hanno convinta a pieno. Riconoscevo di essere arrogante e, a volte, sicura di me, ma sapevo accettare qualche consiglio. La mia arroganza non arrivava a tal punto.
Di lì a poco, sono stata di nuovo messa a nudo in una riunione di lavoro. Il capo ha scoperto che stavo procrastinando il compito di cui ero responsabile e mi ha chiesto: “Perché sei così poco efficiente in questo lavoro? Che ti succede? Puoi fare di meglio?” Ho risposto di no. No, non ero in grado. Mi sembrava che il capo non comprendesse la nostra effettiva situazione, che si aspettasse troppo. Poi, ci ha letto alcune parole di Dio e ha condiviso sull’importanza di diffondere il Vangelo. Ha aggiunto che non avevamo molto tempo, bisognava essere più efficienti. Io non ho compreso a fondo ciò che diceva. Rimanevo aggrappata alle mie nozioni e alla mia esperienza. “Non riesco proprio ad aumentare il nostro livello di efficienza”. Poi, a bassa voce, ho chiesto ai fratelli e alle sorelle che mi stavano accanto: “Credete sia possibile?” In realtà, ho fatto loro questa domanda per portarli dalla mia parte, far dire loro la stessa cosa che avevo detto io, contrastare il capo e mantenere un ritmo lento. Era evidente, ma non me ne rendevo minimamente conto. I fratelli non avevano discernimento su di me. Si potrebbe dire che non ne applicassero alcuno. Hanno tutti preso le mie parti, concordi con me.
Più avanti, poiché ero arrogante e poco efficiente nel mio dovere, e non solo gestivo male il lavoro della squadra, ma addirittura lo ostacolavo, sono stata rimossa. Tuttavia, con mia grande sorpresa, al momento di rieleggere i capi squadra, i fratelli hanno votato ancora per me, all’unanimità. Qualcuno diceva che, se mi avessero destituita, l’intera squadra sarebbe andata in frantumi; e poi, chi altro avrebbe potuto gestirla? Proprio in quel momento, ho capito di avere un problema serio, che tutti mi ascoltavano e sostenevano, nonostante il mio modo di lavorare. Avevano votato per me sebbene il capo mi avesse rimossa; si erano perfino battuti perché venissi trattata equamente. Li avevo davvero fuorviati, i miei fratelli e sorelle.
Mi è venuto in mente un passo tratto dalle parole di Dio: “Per quanto riguarda tutti voi, se le Chiese in una certa area fossero affidate a voi e non ci fosse nessuno a supervisionarvi per sei mesi, voi comincereste ad andare fuori strada. Se nessuno ti supervisionasse per un anno, le condurresti via e fuori strada. Se passassero due anni e ancora nessuno ti supervisionasse, le porteresti dinanzi a te. Perché questo? Avete mai considerato tale questione prima d’ora? Potreste essere così? La vostra conoscenza può provvedere alle persone solo per un certo periodo di tempo. Con il passare del tempo, se continui a dire le stesse cose, alcune persone lo percepiranno; diranno che sei troppo superficiale, che manchi di profondità. Non avrai altra scelta che cercare di ingannare le persone predicando dottrine. Se continui sempre così, quelli sotto di te seguiranno i tuoi metodi, i tuoi passi, il tuo modello di fede e di esperienza mettendo in pratica quelle parole e quelle dottrine. Alla fine, poiché tu continui a predicare e predicare, arriveranno tutti a usarti come esempio. Nella tua leadership su altre persone parli di dottrine, così quelli sotto di te apprenderanno le dottrine da te, e con il progredire delle cose avrai preso la via sbagliata. Quelli sotto di te intraprenderanno il tuo stesso cammino, qualunque esso sia; tutti impareranno da te e ti seguiranno, così tu penserai: ‘Adesso sono potente; tante persone mi ascoltano e la Chiesa è a mia completa disposizione’. Questa natura di tradimento nell’uomo ti fa inconsapevolmente trasformare Dio in una semplice figura rappresentativa, e a quel punto tu stesso costituisci una sorta di denominazione. Come nascono le varie denominazioni? Nascono in questo modo. Guarda i capi di ogni confessione: sono tutti arroganti e presuntuosi, e le loro interpretazioni della Bibbia sono decontestualizzate e guidate dalla loro immaginazione. Fanno tutti affidamento su doni e cultura per svolgere il loro lavoro. Se non fossero affatto capaci di predicare, le persone li seguirebbero? Essi possiedono, dopo tutto, una certa conoscenza e sanno predicare un po’ di dottrina, o sanno come persuadere altri o come usare certi stratagemmi. Li usano per portare le persone al proprio cospetto e ingannarle. Di nome, queste persone credono in Dio, ma di fatto seguono i loro leader. Quando incontrano qualcuno che predica la vera via, alcuni di loro dicono: ‘Dobbiamo consultare il nostro leader circa la nostra fede’. La loro fede in Dio deve passare per un essere umano; non è questo un problema? Che cosa sono diventati, dunque, quei leader? Non sono diventati dei farisei, falsi pastori, anticristo e ostacoli all’accettazione della vera via da parte delle persone? Simili persone sono dello stesso stampo di Paolo” (“Solo ricercare la verità vuol dire credere veramente in Dio” in “Registrazioni dei discorsi di Cristo degli ultimi giorni”). Dalle parole di Dio ho compreso che ero esattamente quel tipo di fariseo che Egli smaschera; non solo possedevo un’indole satanica ingannevole e malvagia, ma nel mio comportamento ero arrivata al punto di fuorviare e controllare gli altri, mettendo Dio da una parte. Ho ripensato a quei farisei ipocriti e ai membri del clero, che si limitano a esporre dottrine e danno a vedere che si impegnano molto per ingannare le persone Dicono di essere in debito con Dio, sembrano tanto umili e auto-consapevoli, danno continuo sfoggio di quanto siano grandi le loro rinunce per il Signore, quanto soffrano e quanto lavoro abbiano svolto. Di conseguenza, i credenti li adorano, convinti che ogni loro parola sia in linea con la volontà di Dio. Non hanno alcun discernimento su quelle persone. Pensano addirittura che obbedire loro significhi obbedire al Signore. In realtà, credono nel Signore solo a parole. Nei fatti, seguono il clero. Il cammino che stavo percorrendo era forse diverso da quello dei farisei e del clero? Anch’io mi concentravo sulla dottrina e sui sacrifici di facciata, così gli altri mi avrebbero ritenuta una persona dedita al proprio dovere. Quando sono stata trattata, non ho cercato la verità, non ho riflettuto davvero su me stessa, ho solo detto quello che sembrava giusto per fuorviare tutti, in modo da far credere che mi stessi sottomettendo, che avessi statura. Alla fine, mi avrebbero adorata e ascoltata. Li ho perfino indotti ad andare contro i requisiti di Dio, insieme a me. Ero io a detenere il potere. Ero forse diversa da un anticristo? Non ero un capo, non possedevo alcuna posizione di superiorità. Ero responsabile di un lavoro insieme ad altre due sorelle, sotto la supervisione del capo, eppure il mio problema era diventato così grave. Se avessi ricoperto una posizione superiore, unica responsabile di qualcosa, non oso pensare a quali empietà avrei potuto compiere. Pensavo che, siccome ero una credente di lunga data e continuavo a svolgere il mio dovere, noncurante delle avversità e delle prove che incontravo, avevo una buona umanità e non competevo mai per diventare un capo, allora non sarei mai diventata un fariseo o un anticristo. Ma, posta di fronte alla realtà dei fatti, sono rimasta esterrefatta e non avevo nulla da dire. Ho finalmente compreso quanto fossero assurde e nocive le mie nozioni, e quanto fosse malvagia e terrificante la mia indole. Era chiaro: come credente, non perseguivo la verità e non accettavo né mi sottomettevo al giudizio, al castigo, al trattamento e alla potatura di Dio. Non riflettevo sulla mia natura satanica alla luce delle Sue parole, e non la conoscevo. La mia obbedienza era esteriore, la mia ammissione espressa solo a voce. Non importa quanto apparissi buona o rispettosa delle regole, appena capitava l’occasione, la mia natura satanica di tradimento verso Dio veniva a galla con tutta la sua forza e mi portava a commettere il male, senza volerlo e senza rendermene conto. Era davvero proprio come dice Dio: “La probabilità che voi Mi tradiate rimane del cento per cento”.
Dio sapeva quanto fosse profonda la mia corruzione, quanto fossi insensibile e testarda. Una parziale conoscenza di me stessa non era sufficiente per farmi cambiare. Quindi, in seguito, sono stata messa a nudo e trattata dai fratelli e sorelle. Ricordo che, una volta, una sorella mi ha detto, senza tanti giri di parole: “Adesso ho discernimento su di te. Raramente condividi sui tuoi pensieri più reconditi e quasi mai riveli la tua corruzione. Ti limiti a parlare del tuo ingresso positivo e della tua comprensione, come se la tua corruzione fosse stata completamente eliminata, come se ne fossi priva”. Ha aggiunto che prima mi adorava, mi riteneva una credente di lunga data che comprendeva la verità, una che sapeva come sperimentare in molte cose e che sapeva soffrire e pagare un prezzo nel proprio dovere. In particolare, pensava fossi in grado di accettare un trattamento e una potatura severa. Ecco perché mi guardava con ammirazione. Trovava giusta ogni cosa dicessi e mi ascoltava sempre: in pratica, aveva dato a me il posto che nel suo cuore spettava a Dio. Sentire che, in poche parole, mi vedeva come Dio è stato come venire colpita da un fulmine. Avevo molta paura e mi opponevo a quel pensiero. Se fosse stato vero, non avrebbe significato che ero diventata un anticristo? Possibile che fosse stata così stupida, così priva di discernimento? Anch’io ero corrotta da Satana. Come faceva a vedermi in quel modo? Questa cosa mi ha devastata, per giorni. Ogni volta che riflettevo sulle sue parole, mi sentivo distrutta. Provavo una strana sensazione di terrore, come se qualcosa di tremendo si stesse per abbattere sopra di me. Era l’ira di Dio nei miei confronti, lo sapevo; la Sua indole giusta stava scendendo su di me. Dovevo accettare le conseguenze di tanta malvagità. Sapevo che l’indole di Dio non tollera offese e sentivo di essere già stata condannata da Lui, quindi credevo che il mio cammino fosse prossimo alla fine. Era una considerazione che mi faceva piangere, non riuscivo a farne a meno. Non lo avrei mai immaginato: io, che non sembravo compiere grandi empietà o azioni davvero cattive, ero riuscita ad arrivare a un punto così grave. Non solo avevo ingannato le persone con dottrine, ma le avevo indotte ad adorarmi come se fossi Dio. In altre parole, avevo trasformato Dio in una semplice figura rappresentativa, offendendo seriamente la Sua indole. Mi sentivo molto negativa, le mie trasgressioni e le cattive azioni sembravano roghi accesi nel mio cuore. Ero esattamente come un fariseo, un anticristo, appartenevo a Satana, un servitore che sarebbe stato eliminato. Proprio non capivo come avevo fatto ad arrivare a quel punto. Piena di rimorsi, mi sono presentata dinanzi a Dio e mi sono pentita: “Dio, il male che ho compiuto è grande. Ho offeso la Tua indole, dovrei essere maledetta e punita! Non chiedo il Tuo perdono, Ti chiedo solo di illuminarmi, così che possa capire la mia natura satanica e vedere la verità della mia corruzione a opera di Satana. Dio, desidero pentirmi, essere onesta e giusta”.
Nei giorni successivi, ho iniziato a riflettere sul perché fossi finita in una situazione così terribile e su quale fosse la radice del problema. Una volta, nei devozionali, ho letto questo: “Allora, quale personaggio interpretano gli anticristi? Chi fingono di essere? La loro interpretazione, naturalmente, va a beneficio del prestigio e della reputazione. Non è possibile separarla da questi aspetti, altrimenti loro non adotterebbero tale finzione: certamente non farebbero nulla di così sciocco. Dato che questo comportamento è considerato riprovevole, disgustoso e ripugnante, perché continuano ad adottarlo? Indubbiamente, hanno le loro mire e motivazioni: sono qui coinvolte intenzioni e motivazioni. Se gli anticristi vogliono acquisire prestigio agli occhi degli altri, devono far sì che queste persone nutrano grande considerazione per loro. E come si raggiunge questo scopo? Oltre ad adottare comportamenti ed espressioni che, secondo le concezioni delle persone, sono ritenuti validi, gli anticristi fanno uso anche di certi comportamenti e immagini che gli altri considerano nobili, per far sì che essi li guardino con ammirazione” (“Fanno il loro dovere solo per distinguersi e alimentare i loro interessi e ambizioni; non considerano mai gli interessi della casa di Dio e addirittura li vendono in cambio della gloria personale (Parte decima)” in “Smascherare gli anticristi”). “Qualunque sia l’ambiente o dovunque stiano compiendo il loro dovere, gli anticristi danno l’impressione di non essere deboli, di nutrire il massimo amore per Dio, di essere ricolmi di fede in Lui, di non essere mai stati negativi, nascondendo agli altri il reale atteggiamento e la reale opinione che nutrono nel profondo del loro cuore in merito alla verità e a Dio. Di fatto, nel profondo del loro cuore, considerano davvero di avere una potenza assoluta? Ritengono davvero di non avere alcuna debolezza? No. Allora, sapendo di possedere debolezza, spirito ribelle e indole corrotta, perché davanti agli altri parlano e si comportano in questo modo? Il loro scopo è ovvio: semplicemente tutelare il proprio prestigio fra gli altri e davanti agli altri. Ritengono che, se davanti agli altri si dimostrassero apertamente negativi, se dicessero apertamente cose che manifestano debolezza e spirito ribelle, e parlassero di conoscere sé stessi, ciò nuocerebbe al loro prestigio e alla loro reputazione, sarebbe una perdita. Preferirebbero, perciò, morire anziché dire di essere deboli e negativi e di non essere perfetti ma soltanto persone comuni. Pensano che, se ammettessero di avere un’indole corrotta, di essere persone comuni, esseri piccoli e insignificanti, perderebbero prestigio agli occhi degli altri. E così, qualunque cosa accada, non riescono a rinunciare a tale prestigio, anzi fanno il possibile per preservarlo. Ogni volta che si imbattono in un problema, si fanno avanti; ma, non appena vedono che potrebbero essere messi a nudo, che gli altri potrebbero scrutarli nel profondo, subito si nascondono. Si vi è qualche spazio di manovra, se hanno ancora la possibilità di mettersi in mostra, di fingere di essere esperti, di conoscere e capire la questione, e di saper risolvere il problema, si affrettano a cogliere l’occasione per guadagnarsi l’apprezzamento degli altri, per far sapere di essere esperti nel settore in questione” (“Fanno il loro dovere solo per distinguersi e alimentare i loro interessi e ambizioni; non considerano mai gli interessi della casa di Dio e addirittura li vendono in cambio della gloria personale (Parte decima)” in “Smascherare gli anticristi”). “Gli anticristi vogliono svolgere il ruolo di persone spirituali, vogliono essere preminenti tra fratelli e sorelle, essere persone che possiedono la verità e capiscono la verità e sanno aiutare coloro che sono deboli e immaturi. E qual è il loro scopo nello svolgere questo ruolo? In primo luogo ritengono di avere già trasceso la carne, di avere superato le preoccupazioni mondane, di essersi liberati delle debolezze dell’umanità normale e di avere sconfitto le esigenze carnali dell’umanità normale; ritengono di essere coloro che possono assumersi compiti importanti nella casa di Dio, che sanno tener conto della volontà di Dio, che hanno la mente colma delle Sue parole. Si atteggiano a persone che hanno già conseguito le prescrizioni di Dio e Lo hanno compiaciuto, che sanno tener conto della Sua volontà e sanno conquistare la bellissima destinazione promessa personalmente da Dio. E così sono spesso soddisfatti di sé e si considerano diversi dagli altri. Usando le parole e le frasi che sanno rammentare e sono capaci di capire con la loro mente, ammoniscono, condannano e giungono a conclusioni in merito agli altri; e inoltre usano spesso le pratiche e le massime nate dalla fantasia delle loro concezioni per giungere a conclusioni in merito agli altri e istruirli, inducendoli a seguire tali pratiche e massime e conseguendo così il prestigio che desiderano tra fratelli e sorelle. Ritengono che, se sanno esprimere le parole e le frasi giuste e le dottrine giuste, se sanno urlare qualche slogan, assumersi qualche responsabilità nella casa di Dio, intraprendere qualche compito importante, se sono disposti a prendere l’iniziativa e sono in grado di mantenere l’ordine normale in un gruppo di persone, ciò significa che sono spirituali e che la loro posizione è sicura. E così, fingendo di essere spirituali e vantandosi della propria spiritualità, fingono anche di essere potentissimi e capaci di tutto, persone perfette, e pensano di poter fare tutto e di essere bravi in tutto” (“Fanno il loro dovere solo per distinguersi e alimentare i loro interessi e ambizioni; non considerano mai gli interessi della casa di Dio e addirittura li vendono in cambio della gloria personale (Parte decima)” in “Smascherare gli anticristi”).
Le parole di Dio mi hanno mostrato perché fossi sempre tanto ipocrita e mostrassi nella condivisione solo il mio lato positivo, mentre mi impegnavo tanto per tenere nascosto il mio lato brutto e malvagio, per non farlo vedere a nessuno. L’obiettivo era mantenere il mio posto nel cuore delle persone, preservare l’immagine che avevano di me come credente di lunga data. Così, visti i tanti anni di fede, avrebbero pensato che fossi speciale, diversa dagli altri fratelli e sorelle, che comprendevo la verità e avevo statura, così mi avrebbero ammirata e adorata. Ho capito di essere arrogante, malvagia e ingannevole! Credevo di avere una fede pluriennale, di comprendere alcune dottrine, perciò sono salita su un piedistallo e ho iniziato a fingere di essere una persona spirituale. Mi mancava la realtà della verità e non mi concentravo sul cercarla e perseguirla. Usavo semplicemente la dottrina, un buon comportamento e qualche sacrificio apparente, per celare un orrido fatto: non possedevo la realtà della verità. Quando sono stata potata e trattata, non ho riflettuto su di me, non conoscevo me stessa. Non analizzavo nel dettaglio i miei problemi e la mia corruzione. Tenevo celate le mie orrende motivazioni e la mia indole corrotta, perché nessuno le scoprisse, per proteggere la mia posizione e la mia immagine. Queste ostentazioni ipocrite erano forse differenti da quelle dei farisei che si opposero al Signore Gesù? Egli rimproverò i farisei: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che appaiono belli di fuori, ma dentro sono pieni d’ossa di morti e d’ogni immondizia. Così anche voi, di fuori sembrate giusti alla gente, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità” (Matteo 23:27-28). “Guide cieche, che filtrate il moscerino e inghiottite il cammello!” (Matteo 23:24). Non ero forse esattamente come loro? In apparenza, sembrava che condividessi sulla mia esperienza, in realtà, parlavo di cose che tutti potevano vedere, nient’altro che vuote dottrine, mentre nascondevo, senza mai menzionarli, i miei veri pensieri, la malvagità e la corruzione che albergavano in me. Così le persone avrebbe pensato che, seppure corrotta e ribelle, io fossi comunque di gran lunga migliore degli altri. Stavo filtrando il moscerino mentre inghiottivo il cammello. Dall’esterno, sembravo umile. Dentro, invece, salvaguardavo il mio nome e prestigio, preservando l’immagine che gli altri avevano di me. Ero talmente ipocrita, così sfuggente e ingannevole. Mi ero presa gioco di tutti i fratelli. Non ero una persona buona e retta, una che sta al suo posto di essere creato, e non sperimentavo l’opera di Dio dalla prospettiva di qualcuno che era stato profondamente corrotto da Satana, accettando di essere giudicata, castigata, potata e trattata da Dio per liberarmi della mia corruzione. Al contrario, usavo il mio dovere per mettermi in mostra, affermarmi e fuorviare gli altri, competendo con Dio per il Suo popolo eletto. Non era quello il cammino di opposizione a Dio, il cammino degli anticristi? Era un percorso condannato da Dio. Per quanto riguardava me, a parte una fede di lunga data, non ero al livello degli altri in termini di calibro e perseguimento della verità. Dopo tutto quel tempo, non possedevo la realtà della verità, e la mia indole della vita non era cambiata. Ero l’immagine stessa di Satana, arrogante e presuntuosa; nel mio dovere, non rispettavo i princìpi. Oltre a non essere riuscita a tenere conto della volontà di Dio e ad esaltarLo, ho intralciato il lavoro del Vangelo. Tenendo conto di tutti gli anni in cui ero stata credente, era una grande vergogna. Ma ho pensato di poter sfruttare e far fruttare quell’aspetto come un capitale per esaltare me stessa e ottenere l’ammirazione generale. Quanta irragionevolezza! Ero senza vergogna!
In uno dei devozionali, ho letto questo passo contenente le parole di Dio: “Se una persona non persegue la verità, non la comprenderà mai. Puoi ripetere lettere e dottrine diecimila volte, ma saranno pur sempre solo lettere e dottrine. Qualcuno si limita a dire: ‘Cristo è la verità, la via e la vita’. Anche se ripeti queste parole diecimila volte, sarà comunque inutile: non hai alcuna comprensione del loro significato. Perché si dice che Cristo è la verità, la via e la vita? Sei in grado di esprimere chiaramente la conoscenza che hai ottenuto al riguardo mediante l’esperienza? Hai fatto il tuo ingresso nella realtà della verità, della via e della vita? Dio ha pronunciato le Sue parole perché tu ne faccia esperienza e ottenga la conoscenza; limitarsi a dar voce a lettere e dottrine è inutile. Potrai conoscere te stesso solo quando avrai compreso e sarai entrato nelle parole di Dio. Se non le comprendi, allora non puoi conoscere te stesso. Puoi discernere solo quando possiedi la verità; senza di essa non sei in grado di discernere. Puoi comprendere pienamente una questione solo quando hai la verità; senza di essa ti è impossibile. Puoi conoscere te stesso solo quando possiedi la verità; senza la verità, non puoi conoscere te stesso. La tua indole può cambiare solo quando detieni la verità; senza la verità, la tua indole non può trasformarsi. Solo dopo avere conseguito la verità sarai in grado di servire secondo la volontà divina; senza la verità non puoi farlo. Solo quando possiedi la verità puoi venerare Dio; senza di essa, la tua venerazione sarà niente altro che una mera esecuzione di riti religiosi. Tutte queste cose dipendono dal fatto di ottenere la verità dalle parole di Dio” (“Come conoscere la natura umana” in “Registrazioni dei discorsi di Cristo degli ultimi giorni”). Leggere questo passo mi ha aiutata a capire ancora più chiaramente perché avessi intrapreso il percorso sbagliato, quello dei farisei che si oppongono a Dio. Era perché, negli anni, non avevo mai perseguito la verità né l’avevo messa in pratica e, quando leggevo le parole di Dio, mi concentravo solo sul significato letterale. Non entravo nelle Sue parole e non le praticavo; non avevo nessuna vera comprensione della verità. Perciò era ovvio che potessi solo esporre una dottrina letterale. Nella mia fede, non amavo la verità, non avevo sete delle parole di Dio e raramente mi ponevo in silenzio al Suo cospetto per riflettere sulle Sue parole: quale aspetto della verità era rivelato in quel passo? Quanto avevo compreso, praticato? A cosa avevo fatto accesso? Qual era la volontà di Dio? Quale effetto avevano ottenuto le Sue parole su di me? Quando accadeva qualcosa, non mi sforzavo di pensare al mio stato alla luce delle parole di Dio, di riflettere sui miei problemi personali, di esaminare quale tipo di corruzione stessi rivelando e quali nozioni errate nutrissi dentro di me. Mi tenevo costantemente occupata, e basta. Proprio come Paolo. Pensavo a soffrire per il mio lavoro e a soddisfare le mie ambizioni. Dio incarnato degli ultimi giorni ha espresso così tante verità e ha condiviso molto dettagliatamente su ogni aspetto della verità. Lo ha fatto affinché possiamo capirla, comprendere la realtà della nostra corruzione a opera di Satana, pentirci e cambiare. Ma io ho preso le parole di Dio con grande leggerezza. Non le ho ponderate né ricercate, non ho pensato a praticarle o ad accedervi. Non era un atteggiamento totalmente contrario alla volontà di Dio di salvare l’umanità? Non era esattamente lo stesso percorso intrapreso dai farisei e dai pastori nel mondo religioso? I farisei pensavano solo a predicare, soffrire nel proprio lavoro e proteggere la loro posizione. Non hanno mai praticato le parole di Dio e non erano capaci di condividere la loro esperienza e comprensione di quelle parole. Non hanno saputo condurre le persone ad entrare nella realtà della verità, le hanno solo ingannate con un’interpretazione e una conoscenza letterale delle Scritture, con vuote dottrine. Questo le ha rese persone che si oppongono a Dio. Nemmeno io ho tentato di praticare la verità nella mia fede; ho solo seguito alcune regole. Non commettevo grandi malvagità o errori; in apparenza, mi comportavo bene; negli incontri, condividevo quanto ritenevo giusto, pertanto credevo di fare bene nella mia fede. Ma poi ho capito: non ero un’ipocrita e basta? Possiamo definire la mia una vera fede in Dio? Se avessi continuato su quella strada, senza alcuna realtà della verità, senza modificare minimamente la mia indole corrotta, alla fine non sarei stata eliminata? Il mio cuore era colmo di rimorso e ho pregato Dio: “Non voglio più essere un’ipocrita. Desidero perseguire la verità, accettare e sottomettermi al Tuo giudizio e castigo, e cambiare”.
Poi, nei devozionali, ho letto questo passo tratto dalle parole di Dio: “Per esempio, tu pensi che una volta ottenuto prestigio devi porti in maniera autorevole e parlare con una certa aria. Quando ti rendi conto che questo è un modo di pensare errato, dovresti abbandonarlo; non percorrere quella strada. Quando hai pensieri come questi, devi uscire da quella condizione e non permettere a te stesso di rimanervi invischiato. Una volta che resti bloccato al suo interno e che questi pensieri e prospettive prendono forma dentro di te, ti travestirai e ti camufferai così a fondo che nessuno sarà in grado di scrutare dentro di te o di farsi un’idea del tuo cuore e della tua mente. Parlerai con gli altri come da dietro una maschera. Non riusciranno a vedere il tuo cuore. Devi imparare a lasciare che gli altri vedano il tuo cuore, ad aprirlo a loro e ad avvicinarti a loro; mentre il tuo approccio è quello opposto. Non è questo il principio? Non è questa la via da praticare? Comincia dall’interno dei tuoi pensieri e della tua consapevolezza: quando senti la voglia di camuffarti, devi pregare così: ‘O Dio! Voglio mascherarmi di nuovo, e sto per adottare trucchi e inganni ancora una volta. Sono proprio un demonio! Mi faccio detestare così tanto da Te! Attualmente sono così disgustato di me stesso. Per favore, disciplinami, rimproverami e puniscimi’. Tu devi pregare e portare il tuo atteggiamento allo scoperto. Questo interessa il modo in cui pratichi. A quale aspetto dell’umanità è rivolta tale pratica? Si rivolge ai pensieri, alle idee e alle intenzioni che le persone hanno rivelato riguardo a una questione, così come al sentiero che percorrono e alla direzione che prendono. In altre parole, non appena queste idee ti vengono in mente e vuoi agire in base a esse, devi limitarle e poi analizzarle. Non appena limitate e analizzate i vostri pensieri, non esprimerete e agirete molto meno in base a essi? Inoltre, la vostra intima indole corrotta non subirebbe allora una battuta d’arresto?” (“Per superare la propria indole corrotta bisogna avere un cammino specifico per la pratica” in “Registrazioni dei discorsi di Cristo degli ultimi giorni”). Le parole di Dio mi hanno indicato un percorso di pratica. Per eliminare la mia ipocrisia e la mia indole satanica empia e ingannevole, dovevo praticare la verità ed essere una persona onesta, imparare ad aprirmi con Dio e in una condivisione sincera con gli altri; di fronte ai problemi, dovevo condividere la mia prospettiva e i miei pensieri, quelli veri. Se desideravo essere di nuovo falsa, dovevo pregare Dio, abbandonare me stessa e fare esattamente l’opposto. Dovevo aprirmi, rivelare la mia corruzione e analizzarla, senza lasciare che la mia indole satanica prevalesse. Mi sono tornate in mente le parole di Dio: “Se hai molte confidenze che sei restio a condividere e se non sei affatto disposto a rivelare i tuoi segreti – vale a dire le tue difficoltà – davanti agli altri, così da cercare la via della luce, allora dico che sei uno che non riceverà facilmente la salvezza e che non emergerà facilmente dalle tenebre” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Tre ammonimenti”). A quel punto, ho sentito quanto sia importante essere una persona onesta. Dopo tutti i miei anni di fede, non avevo praticato in tal senso, non vi avevo fatto accesso, per quanto basilare fosse come verità. Che cosa patetica! Quindi ho pregato Dio, pronta a pentirmi, praticare la verità ed essere una persona onesta.
Da allora in poi, ogni volta che sentivo qualcuno dire che avevo capito la verità e possedevo statura, mi sentivo terribilmente a disagio e in imbarazzo. Non me ne beavo come un tempo. C’è stata una volta in cui ho conosciuto una sorella: aveva saputo che ero credente da tanto tempo e sapevo soffrire per il mio dovere, motivi per cui mi ammirava molto. Mi ha detto in faccia: “Sorella, so che hai fede da un sacco di anni, hai ascoltato numerosi sermoni e comprendi gran parte delle verità. Ti ammiro veramente”. Quelle sue parole mi hanno impaurita, mi si è accapponata la pelle. Le ho subito illustrato la realtà dei fatti, spiegando che le cose non stavano proprio così. L’ho esortata a non fermarsi alle apparenze: “Credo in Dio da molto tempo, è vero, ma non ho levatura, e non amo né perseguo la verità. In tutti gli anni di fede, ho fatto appena qualche sacrificio di facciata. Ho compiuto qualcosa di buono e so pagare un prezzo, ma non ho svolto il mio dovere secondo i princìpi e non ho cambiato molto la mia indole della vita. Non sono stata in grado di farmi carico dei compiti che Dio mi ha affidato. Non tengo conto della Sua volontà e non Lo esalto; anzi, mi oppongo a Lui e Gli reco disonore”. In seguito, ho condiviso con lei usando queste parole: “La tua prospettiva non è in linea con la verità. Non adulare ciecamente nessuno, ma osserva ogni persona e cosa sulla base delle verità contenute nelle parole di Dio. In quale modo Egli ci esamina? La durata della nostra fede non è un criterio di cui tiene conto. Non bada a quanto abbiamo sofferto o alla strada percorsa o alla nostra capacità di predicare. A Lui interessa se perseguiamo la verità, se la nostra indole è cambiata, se riusciamo a portare testimonianza nel nostro dovere. Alcuni tra i nuovi arrivati sanno perseguire la verità e si concentrano sulla pratica e sul loro ingresso. Fanno progressi velocemente. Sono molto migliori di me. Dovresti ammirare loro, per la loro onestà e lo sforzo nel perseguire la verità, non me, solo perché sono una credente da molti anni o perché ho sofferto. È Dio a decretare la durata della fede. Non c’è nulla da ammirare in questo. Se un credente di lunga data non persegue la verità e non cambia la sua indole, ma si limita a compiere azioni buone ma superficiali, costui è comunque un fariseo che fuorvia gli altri. Ecco perché perseguire la verità e cambiare la propria indole sono le cose più importanti”. Dopo questa condivisione, mi sentivo molto più tranquilla. Ho smesso di promuovere dottrine e di vantarmi negli incontri successivi, limitandomi a condividere la mia comprensione di me stessa alla luce delle parole di Dio. Ho anche annunciato di aver a malapena acquisito una parziale conoscenza di me stessa e di non essere cambiata: non avevo ancora praticato né vi avevo fatto accesso. La mia condivisione era superficiale, ma mi sentivo meno turbata.
Attraverso la mia esperienza, ho compreso una cosa, senza ombra di dubbio e l’ho sperimentata a fondo. Non importa da quanto tempo crediamo o quanto sembriamo bravi esteriormente, non conta se ci comportiamo bene, quanto soffriamo e lavoriamo, se non perseguiamo la verità, non la accettiamo e non ci sottomettiamo al giudizio, al castigo, alla potatura e al trattamento di Dio, se non cerchiamo di conoscere noi stessi ed entrare nella realtà delle parole di Dio quando sorge qualche problema, se la nostra indole satanica non è mutata, siamo sul cammino dei farisei e degli anticristi. Non appena si verificano le giuste circostanze, ci trasformiamo in anticristi, in mistificatori. Su questo non ci sono incertezze. È la conseguenza inevitabile. Ho capito quanto sia fondamentale perseguire la verità, accettare il giudizio, il castigo e il trattamento di Dio e sottomettervisi, per essere salvati e cambiare la propria indole! Lode a Dio!