Rettificare le motivazioni nel mio dovere
Lo scorso giugno, sono stata eletta capo della Chiesa. Al tempo ne ero entusiasta e mi sembrava che i fratelli avessero una buona opinione di me, che il gran numero di voti ricevuti indicassero la mia superiorità rispetto agli altri. Mi dicevo che dovevo davvero impegnarmi per svolgere bene quel compito, in modo che gli altri vedessero quanto ero capace. All’inizio non avevo molta dimestichezza con il lavoro della Chiesa, quindi ponevo grande attenzione nell’ascoltare e ricordare le cose mentre lavoravo a fianco della sorella con cui mi coordinavo, la quale aveva più familiarità con il compito. Continuavo a pensare: “Come capo della Chiesa, devo compiere un buon lavoro e ottenere dei risultati per essere all’altezza dell’incarico. Non posso guadagnarmi la fama di una che non svolge lavori pratici, bramosa delle benedizioni garantite dal proprio status. In tal caso, con che coraggio mi farei vedere in giro?” Ho anche riflettuto su come svolgere al meglio il mio compito. Le persone a cui mi rivolgevo erano i fratelli di tutta la Chiesa, alcuni dei quali avevano svolto il proprio compito per molti anni e comprendevano più di me i princìpi della verità. Come mi avrebbero considerato, se avessi cercato di aiutarli a risolvere i loro problemi senza risalirne alla radice, e non fossi riuscita a indicare un percorso di pratica nella mia condivisione? Mi avrebbero ritenuta totalmente incapace, inadatta a compiti da leader? Sentivo che, in quanto capo, era fondamentale condividere a un livello superiore rispetto a loro, quindi dovevo dotarmi quanto prima della verità in modo che, quando fossero incappati in un problema, sarei stata pronta a far sì che lo risolvessero. A quel punto, avrebbero visto che possedevo in parte la realtà della verità e che me la cavavo bene come capo. Perciò, oltre a occuparmi giornalmente del lavoro della Chiesa, in ogni ritaglio di tempo leggevo anche alcune parole di Dio. La mia agenda ogni giorno era fitta di impegni e, anche se le altre sorelle prima di coricarsi mi ricordavano di riposare un po’ perché era tardi, io non avevo affatto sonno e spesso lavoravo fino a notte fonda. Tuttavia, nonostante i grandi sforzi per prepararmi, nelle riunioni con i fratelli mi sentivo ancora insicura.
Una sera, la sorella con cui collaboravo mi ha detto che il giorno dopo avremmo dovuto tenere una riunione per il gruppo del Vangelo. La cosa mi ha messo incredibilmente in ansia. Pensavo: “I fratelli di quel gruppo sono credenti da un bel po’, invece io lavoro come capo da poco tempo. Non ho davvero idea di quali siano i problemi e le difficoltà che affrontano nel lavoro evangelico. Se nominano questioni che non so affrontare, penseranno che non sono capace nel mio compito? Non sarà un danno alla mia immagine di capo? No, meglio un po’ di preparazione dell’ultimo minuto che niente, meglio che ne approfitti per dotarmi di alcune verità pertinenti”. Tuttavia, non riuscendo a capire tutto con così poco preavviso, ero inquieta. Ero una scheggia impazzita che leggeva questo e quello al computer, un attimo di qua, un altro di là. Avevo la mente tutta aggrovigliata e non mi tornava nulla: non mi rimaneva che andare a letto. Nella riunione del giorno seguente, ho visto la mia collaboratrice comunicare con gli altri sulla verità, aiutandoli a risolvere i problemi che incontravano nella condivisione del Vangelo, mentre io me ne stavo seduta senza la minima idea di cosa dire. Era davvero imbarazzante. Pensavo: “Se rimango sempre zitta, non crederanno che come capo sia qui solo per bellezza? Dovrei farmi sentire. Alcune di queste sorelle mi conoscono già e, adesso che sono un capo, non dovrei essere in grado di tenere una condivisione più profonda? Altrimenti, che idea si faranno di me? Mi vedranno come un’incapace?”. Mi scervellavo per farmi venire in mente qualche esperienza vissuta da presentare, ma più mi innervosivo, più sprofondavo nell’agitazione. Non sapevo che dire. Per evitare che tutti mi vedessero senza niente da condividere, ho ascoltato attentamente quella sorella e, terminato il suo discorso, sono intervenuta per riassumere a grandi linee le sue parole. In questo modo, avrei dimostrato che la mia condivisione e comprensione erano migliori delle sue, e tutti avrebbero notato che me la cavavo bene, che ero all’altezza del ruolo di capo. Sapevo benissimo che il mio discorso era frutto della sua comprensione, che erano concetti di cui mi stavo appropriando. Mi rendevo conto che era un comportamento davvero spregevole. Dopo la riunione, sentivo un vuoto totale nel mio cuore: pur sapendo che le persone, gli eventi e le cose che incrocio ogni giorno sono interamente orchestrati da Dio, non avevo idea di come viverli. Non avevo imparato nulla. Questo pensiero mi ha lasciato una sensazione terribile e mi sono anche un po’ pentita di essermi assunta quel compito. Nei giorni successivi, era come se avessi la testa schiacciata da peso enorme: mi sentivo la mente offuscata e il respiro affannato. Dover affrontare problemi nel lavoro della Chiesa senza sapere nemmeno da dove iniziare, per me, era davvero doloroso. Ho pregato Dio: “O Dio, voglio svolgere bene questo compito, ma ho sempre la sensazione di non essere all’altezza. Non so cosa fare. Per favore guidami perché io conosca meglio me stessa e possa liberarmi da questa condizione”.
Successivamente, mi sono aperta verso la mia collaboratrice in merito alla mia condizione. La sorella mi ha dato da leggere un brano delle parole di Dio, tratto da “Per superare la propria indole corrotta bisogna avere un cammino specifico per la pratica”. Dice così: “Tutti gli esseri umani corrotti manifestano questo problema: quando sono semplici fratelli o sorelle senza prestigio, non si danno arie nell’interagire o nel parlare con gli altri, né adottano un certo stile o tono nel parlare; sono semplicemente ordinari e normali e non hanno bisogno di presentarsi favorevolmente. Non percepiscono alcuna pressione psicologica e sanno tenere condivisioni sincere e sentite. Sono disponibili e con loro si può interagire facilmente; gli altri li considerano ottime persone. Tuttavia, non appena conseguono un certo prestigio, diventano spocchiosi e arroganti, come se nessuno fosse alla loro altezza; pensano di meritare rispetto, di essere diversi dalla gente comune, che guardano dall’alto in basso, e smettono di tenere condivisioni sincere con gli altri. Perché non tengono più condivisioni sincere? Ritengono di avere prestigio, adesso, e sono dei capi. Pensano che i capi debbano avere una certa immagine, essere un po’ più in alto rispetto alla gente comune, avere una migliore levatura ed essere in grado di assumersi maggiori responsabilità; ritengono che, in confronto alle persone comuni, i capi debbano avere più pazienza, saper soffrire e spendersi di più e sapere resistere a ogni tentazione. Pensano perfino che i capi non possano piangere, anche se muoiono dei loro familiari, e che, se proprio devono piangere, debbano farlo in privato, in modo che nessuno veda in loro manchevolezze, difetti o debolezze. Ritengono perfino che i capi non possano far sapere a nessuno se sono diventati negativi; devono invece nascondere tutte queste cose. Ritengono che così debba agire chi ha prestigio” (Registrazioni dei discorsi di Cristo degli ultimi giorni). Questa lettura mi ha davvero folgorato: le parole di Dio avevano rivelato proprio la mia condizione! Perché in ogni riunione avevo sempre i sudori freddi? Da dove veniva tutto quello stress? Era perché stavo cercando di elevarmi. Da quando ero diventata un capo, mi sentivo dotata di una posizione e uno status, quindi ero diversa da prima. Ora, come capo, ritenevo di dover fare la figura del leader, di dover essere su un gradino più alto degli altri e più capace di loro. La mia condivisione doveva essere più profonda, dovevo scrutare meglio l’essenza dei problemi e risolvere qualsiasi impedimento dei fratelli nel loro accesso alla vita. Nelle riunioni, in qualunque gruppo fossi, sentivo di dover essere la persona che si distingue dalla massa, che quello fosse l’unico modo per essere degna del mio ruolo. Così, dopo aver accettato l’incarico, parlavo e agivo in ogni cosa per il bene della mia posizione. In realtà, ero carente in ogni aspetto, ma volevo mascherarmi, fingendo alterigia, e commettevo anche atti subdoli, cercando di sottrarre la luce della condivisione tenuta dalla mia collaboratrice per mettermi sotto i riflettori, allo scopo di destare ammirazione. Giorno dopo giorno, il mio unico pensiero era come mantenere il mio status, trascurando del tutto come svolgere bene il mio dovere e adempiere alle mie responsabilità. Ero totalmente distratta dal lavoro vero e proprio. Forse che ciò era perseguire la verità e svolgere il mio compito? Era una ricerca, una soggezione totale allo status, del quale ero diventata schiava. Ero sì stata eletta capo, ma non per quello avevo acquisito all’istante un’enorme statura o la realtà della verità, ero sempre la stessa persona. L’unica cosa diversa era il mio compito di leader. Per mezzo di esso, Dio voleva che mi formassi meglio, che cercassi la verità per risolvere i problemi e svolgessi un lavoro pratico. Lo scopo non era affatto darmi prestigio. Invece, io mi ero elevata allo status di capo, nella falsa convinzione che un tale incarico fosse simile a un dirigente pubblico nel mondo esterno, che comportasse il possesso di una posizione prestigiosa. Non era la prospettiva di un miscredente? Che assurdità!
Compreso tutto ciò, ho pregato Dio: “Dio, grazie per la Tua illuminazione e la Tua guida che mi hanno fatto capire il motivo dietro la mia condizione sbagliata, cioè la mia ricerca di prestigio. Ero sulla strada sbagliata. Dio, sono pronta a pentirmi e a cercare la verità per eliminare questa mia condizione. Ti prego, guidami”. Dopo, ho letto un passo dalle Sue parole in cui Dio Onnipotente dice: “Le persone stesse sono oggetti della creazione. Questi ultimi possono ottenere l’onnipotenza? Possono conseguire la perfezione e l’impeccabilità? Possono raggiungere la competenza in ogni cosa, arrivare a comprendere e a realizzare ogni cosa? No. Negli esseri umani, tuttavia, c’è un punto debole. Non appena acquisiscono una capacità o imparano una professione, pensano di essere capaci, di essere persone di prestigio e valore, di essere professionisti di qualche tipo. Non importa quanto credano di essere ‘capaci’, desiderano tutti fare bella figura, spacciandosi per personaggi importanti e apparire perfetti e impeccabili, senza neppure un difetto; desiderano diventare grandi, influenti, pienamente capaci, onnipotenti agli occhi degli altri. […] Non vogliono essere persone ordinarie, normali, semplici mortali. Vogliono soltanto essere sovrumani, o individui dotati di capacità o poteri speciali. È un problema davvero enorme! Per quanto riguarda la debolezza, i difetti, l’ignoranza, la stupidità e la mancanza di comprensione che fanno parte della normale umanità, esse confezioneranno tutto nel migliore dei modi perché gli altri non li vedano, e poi continueranno a camuffarsi. […] Non sanno chi siano né come vivere un’umanità normale. Non hanno mai agito nemmeno una volta come esseri umani pratici. Se, nella loro condotta, le persone scelgono questo tipo di cammino (sempre con la testa tra le nuvole anziché con i piedi per terra, sempre con la voglia di volare), sono destinate a incappare in alcuni problemi. Il percorso che scegli nella vita non è corretto. A essere sincero con te, se fai questo, a prescindere da come credi in Dio, non comprenderai la verità né sarai in grado di ottenerla, perché il tuo punto di partenza è sbagliato” (“Le cinque condizioni necessarie per intraprendere la retta via nella propria fede” in “Registrazioni dei discorsi di Cristo degli ultimi giorni”). Leggendo queste parole, mi sembrava di essere faccia a faccia con Dio, di essere giudicata da Lui. È stato davvero angosciante e sconvolgente per me, soprattutto quando ho letto: “Se fai questo, a prescindere da come credi in Dio, non comprenderai la verità né sarai in grado di ottenerla, perché il tuo punto di partenza è sbagliato”. Mi sono resa conto di quanto siano cruciali le motivazioni di una persona e la strada che prende nel proprio dovere, di come esse determinino direttamente se può ottenere la verità. Se non perseguiamo la verità nel nostro dovere, se non teniamo conto della volontà di Dio ma proteggiamo il nostro status, non importa il duro lavoro, la sofferenza e il prezzo che paghiamo: non otterremo mai l’approvazione di Dio, ma saremo respinti e condannati da Dio. Egli è santo e sa scrutare nel profondo dei nostri cuori e delle nostre menti. Dopo essere diventata un capo, pensavo solo alla mia immagine e al mio prestigio agli occhi altrui. Volendo proteggere la mia posizione di leader, continuavo a travestirmi, nascondendo i miei difetti e le mie inadeguatezze per essere guardata con ammirazione. Ciò che avevo nel cuore non era l’incarico di Dio: stavo perseguendo lo status, imboccando un cammino di opposizione a Dio. Come potevo guadagnare l’opera dello Spirito Santo in quel modo? L’oscurità in cui ero caduta era l’indole giusta di Dio che si abbatteva su di me. Se ancora non mi fossi pentita, sarei stata certamente disprezzata da Lui. Ho pensato agli anticristi espulsi dalla casa di Dio. Avevano posizioni di prestigio e si sentivano sempre diversi dagli altri; erano diventati bramosi delle benedizioni derivanti dallo status, elevandosi e mettendosi in mostra, lottando per strappare il popolo di Dio dalle Sue mani. Hanno commesso il male e resistito a Dio, cosicché la loro fine è stata l’espulsione e l’eliminazione. Rendendomi conto di tutto ciò, riflettevo su come ero stata controllata dal prestigio da quando avevo assunto il compito di leader. Avevo considerato i compiti in modo gerarchico, attribuendomi un titolo ed elevandomi. Pensavo di aver raggiunto uno status, e volevo mettermi in mostra risolvendo i problemi degli altri per ottenere ammirazione. Ero senza vergogna! Il solo pensiero mi infiammava il viso per l’imbarazzo; ritenevo di essere disgustosa e che quella mia lotta per lo status, agli occhi degli altri, fosse essenzialmente una gara con Dio per il prestigio. Era il cammino di un anticristo. Proprio allora, ho capito quanto fosse pericolosa la mia condizione e che, se non mi fossi pentita, alla fine sarei stata punita, proprio come un anticristo.
Nella mia successiva ricerca e riflessione, ho letto questo passo dalle parole di Dio: “Quando non hai prestigio, puoi analizzarti spesso e giungere a conoscere te stesso. Gli altri possono trarne vantaggio. Quando hai prestigio, puoi ancora analizzarti spesso e giungere a conoscere te stesso, consentendo agli altri di comprendere dalle tue esperienze la realtà della verità e la volontà di Dio. Gli altri possono trarre vantaggio anche da questo, vero? Se tu fai pratica in questo modo, allora, che tu abbia prestigio o no, gli altri ne trarranno ugualmente vantaggio. Allora che cosa significa per te il prestigio? In realtà è una cosa supplementare, aggiuntiva, come un capo di abbigliamento o un cappello; se non lo consideri una questione troppo importante, non può limitarti. Se ami il prestigio e gli assegni una rilevanza particolare, considerandolo sempre una questione importante, allora sarai sotto il suo dominio; dopo di che non vorrai più conoscere te stesso, né sarai disposto ad aprirti e a metterti a nudo o ad accantonare il tuo ruolo di guida per parlare e interagire con gli altri e compiere il tuo dovere. Che tipo di problema è questo? Non hai forse assunto questo incarico di prestigio per te stesso? E non hai poi continuato a occupare tale posizione, senza volerci rinunciare, e perfino competi con gli altri per proteggere il tuo prestigio? Non ti stai forse tormentando? Se finisci col tormentarti fino alla morte, a chi potrai dare la colpa? Se, quando hai prestigio, puoi evitare di spadroneggiare sugli altri, concentrandoti invece su come svolgere bene i tuoi compiti, facendo tutto ciò che devi fare e compiendo il dovere che ti spetta, e se ti consideri un fratello o una sorella come gli altri, non avrai forse messo da parte il giogo del prestigio?” (“Per superare la propria indole corrotta bisogna avere un cammino specifico per la pratica” in “Registrazioni dei discorsi di Cristo degli ultimi giorni”). Le parole di Dio mi hanno fornito un cammino di pratica e accesso. Che io abbia o no uno status, devo svolgere adeguatamente il mio dovere e condividere su ciò che capisco; quando mi imbatto in una questione che non comprendo, devo aprirmi alla condivisione con i fratelli per ricercare la verità e risolverla insieme a loro. Stavo solo svolgendo un compito diverso dagli altri, ma nessuno era più in alto o più in basso degli altri. Il mio servizio come capo non significava assolutamente che fossi migliore o più capace di loro. Eppure, mi sono comportata da buffona, senza alcuna traccia di consapevolezza. Possedevo difetti di ogni sorta e avevo bisogno che i fratelli mi aiutassero, ciononostante pensavo di dover essere migliore di loro. Che arroganza, che ignoranza! Quella superbia vergognosa mi sembrava semplicemente ridicola. Ho ringraziato Dio dal mio cuore per avermi messa a nudo tramite questa situazione, permettendomi di vedere che stavo imboccando la strada sbagliata. Ho pregato Dio: “Dio, grazie per avermi smascherato in modo che potessi vedere quanto tenevo al prestigio e che ero su un cammino di opposizione a Te. Non voglio percorrere la via sbagliata. Desidero pentirmi, rinunciare all’idea dello status, cambiare il mio atteggiamento verso il mio compito e svolgerlo secondo la verità princìpio”.
Una volta, sono andata alla riunione di un gruppo in cui tre dei fratelli presenti avevano svolto il proprio compito più a lungo di me e due di loro avevano già servito come capi. In precedenza, avevano condiviso con me sulla verità e mi avevano aiutato a risolvere alcuni problemi, quindi mi sentivo un po’ limitata durante la riunione. Avevo paura che, se la mia condivisione non fosse stata buona e non fossi riuscita ad aiutarli nelle loro questioni, avrebbero pensato che mi mancasse totalmente la verità realtà e che non fossi adatta a fare il capo. Non osavo indagare sulla loro condizione, per paura che dicessero qualcosa che non avrei saputo gestire. A quel punto, mi sono resa conto del mio ennesimo tentativo di proteggere la mia reputazione e il mio status, così ho detto una preghiera per rinunciare a me stessa. Poi, mi sono venute in mente queste parole di Dio: “Se, quando hai prestigio, puoi evitare di spadroneggiare sugli altri, concentrandoti invece su come svolgere bene i tuoi compiti, facendo tutto ciò che devi fare e compiendo il dovere che ti spetta, e se ti consideri un fratello o una sorella come gli altri, non avrai forse messo da parte il giogo del prestigio?” (“Per superare la propria indole corrotta bisogna avere un cammino specifico per la pratica” in “Registrazioni dei discorsi di Cristo degli ultimi giorni”). Sapevo di dover adattare la mia pratica a quanto richiesto da Dio e, nonostante la mia comprensione superficiale della verità, ero disposta ad affidarmi a Dio, svolgendo il mio dovere al meglio delle mie capacità. Guidata dalle Sue parole, ho acquisito un gran senso di liberazione e non mi sono più preoccupata di ciò che gli altri avrebbero pensato di me. Ho deciso di condividere secondo la mia comprensione. Sentendo ciò che avevo da dire, gli altri non mi hanno disprezzato affatto, ma hanno riconosciuto tutti di aver guadagnato qualcosa.
Nella riunione, ho letto un passo dalle parole di Dio che appare ne “I principi che devono guidare il proprio comportamento”. Secondo le parole di Dio, “Qualunque dovere si svolga, conseguire risultati per compiacere Dio e per guadagnare la Sua approvazione e compiere il proprio dovere in maniera soddisfacente si fondano sulle azioni di Dio. Se fai fronte alle tue responsabilità, se compi il tuo dovere, ma Dio non agisce e non ti dice che cosa fare, tu non conoscerai il tuo cammino, la tua direzione e i tuoi obiettivi. Alla fine che cosa ne deriva? Che sono fatiche infruttuose. Pertanto, compiere il tuo dovere in maniera soddisfacente ed essere in grado di rimanere saldo nell’ambito della casa di Dio, offrendo edificazione a fratelli e sorelle e guadagnando l’approvazione di Dio, dipendono interamente da Dio! Gli esseri umani possono fare soltanto quelle cose di cui sono personalmente capaci, che dovrebbero fare e che rientrano nelle loro capacità intrinseche, nient’altro. Perciò i risultati in definitiva raggiunti nel compimento del tuo dovere sono determinati dalla guida impartita da Dio; sono determinati dal cammino, dagli obiettivi, dalla direzione e dai principi stabiliti da Dio” (Registrazioni dei discorsi di Cristo degli ultimi giorni). Leggere le parole di Dio mi ha illuminato il cuore. Ho capito che il lavoro della casa di Dio è in realtà tutto condotto e sostenuto da Lui e, come esseri umani, noi dobbiamo solo svolgere il nostro dovere al massimo delle possibilità. Tuttavia, senza l’opera dello Spirito Santo, senza l’illuminazione e la guida di Dio, anche con il massimo impegno non otterremo risultati nel nostro dovere; mentre lo svolgiamo, dobbiamo capire ciò che Dio richiede, portarne il fardello nel nostro cuore, ricercare e praticare la verità in ogni cosa e lavorare secondo i princìpi. Ecco l’unico modo per guadagnare l’opera dello Spirito Santo e ottenere l’approvazione di Dio. La mia posizione di capo mi richiedeva solo di condividere sulla verità per aiutare a risolvere le difficoltà dei fratelli nei doveri e nell’accesso alla vita. Anche se mi capitava di non riuscire a far subito fronte a un problema, potevo sempre prenderne nota e poi ricercare meglio per risolverlo in seguito. Così, sono riuscita a chiedere loro con molta naturalezza in che tipo di condizione si trovassero e quali difficoltà riscontrassero nel proprio compito. Quando hanno tenuto la condivisione su come stavano, ho acquietato il mio cuore di fronte a Dio, ricercando e meditando con attenzione. In questo modo, ho potuto capire le loro carenze e i loro difetti, usando le parole di Dio più adatte per trovare un percorso che li aiutasse nella risoluzione e nell’accesso. Sapevo che tutto ciò avveniva grazie alla guida di Dio. Ero felicissima e ho sperimentato quanto sia liberatorio rinunciare al prestigio. Quell’esperienza mi ha mostrato in modo diretto come, correggendo l’atteggiamento verso il mio compito, concentrandomi sul lavoro assegnato da Dio, riflettendo e ricercando come svolgere bene il mio dovere e ottenere i migliori risultati, senza rendermene conto ero già stata liberata dai vincoli e dalle restrizioni della ricerca di prestigio. Così, ho potuto ottenere la guida e le benedizioni di Dio!
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