Trascorrere in prigione il fiore della giovinezza
Tutti dicono che il fiore della giovinezza sia il periodo più bello e più puro della vita. Forse, per molti, quegli anni sono pieni di bei ricordi, ma ciò che non mi sarei mai aspettata era di trascorrere il fiore della mia giovinezza in un campo di lavoro. Forse vi sembrerà strano, ma non me ne rammarico. Sebbene il tempo passato dietro le sbarre sia stato colmo di amarezza e lacrime, è stato il dono più prezioso della mia vita e ho ricavato molto da quell’esperienza.
Un giorno, nell’aprile del 2002, vivevo ospite a casa di una sorella; è allora che sono stata arrestata. All’una di notte, siamo state svegliate all’improvviso da alcuni colpi forti e insistenti alla porta. Fuori qualcuno urlava: “Aprite la porta! Aprite la porta!” Appena la padrona di casa ha aperto, diversi agenti di polizia hanno spalancato bruscamente la porta e sono sciamati all’interno, dicendo con fare aggressivo: “Siamo dell’Ufficio per la Pubblica Sicurezza”. Queste cinque parole, “Ufficio per la Pubblica Sicurezza”, mi hanno subito fatta agitare. Erano venuti ad arrestarci perché credevamo in Dio? Avevo sentito che alcuni fratelli e sorelle erano stati arrestati e perseguitati a causa della loro fede: in quel momento, stava forse accadendo la stessa cosa a me? A quel punto, il mio cuore ha iniziato a battere all’impazzata; ero in preda al panico e non sapevo cosa fare. Perciò, ho subito pregato Dio: “Dio, Ti imploro di stare al mio fianco. Dammi fede e coraggio. Accada quel che accada, sarò sempre disposta a rimanere salda nel testimoniarTi. Inoltre, Ti supplico di donarmi la Tua saggezza e le parole da dire; e, Ti prego, fai in modo che io non tradisca Te né i miei fratelli e sorelle”. Dopo aver pregato, nel mio cuore è pian piano scesa la calma. Ho visto quei quattro o cinque poliziotti malvagi che rovistavano come banditi per la casa, tra le lenzuola, in ogni armadietto e scatola e perfino sotto il letto, finché non hanno trovato alcuni libri delle parole di Dio assieme a CD contenenti inni. Allora ci hanno portate alla stazione di polizia. Una volta arrivati all’ufficio, diversi agenti massicci sono entrati dietro di noi e si sono messi alla mia sinistra e alla mia destra. Il capo di quel gruppo di poliziotti malvagi mi ha urlato: “Come ti chiami? Da dove vieni? Quanti siete in tutto?” Avevo appena aperto la bocca e stavo per rispondere, quando mi è balzato addosso e mi ha dato due schiaffi sul viso. Sconvolta, non ho proferito più parola. Mi chiedevo: “Perché mi hai colpita? Non ho nemmeno finito di rispondere. Perché siete così rudi e incivili, completamente diversi da come avevo immaginato fosse la Polizia del Popolo?” In seguito, l’uomo ha continuato a chiedermi quanti anni avessi e, quando ho risposto onestamente che avevo diciassette anni, mi ha schiaffeggiato altre due volte e mi ha rimproverata per aver mentito. Dopodiché, a prescindere da quello che dicevo, ha continuato indiscriminatamente a prendermi a schiaffi sul viso fino al punto che avevo il volto in fiamme per il dolore. Mi sono ricordata di aver sentito dire dai miei fratelli e sorelle che cercare di ragionare con quei poliziotti violenti non avrebbe funzionato. Avendolo sperimentato di persona, da quel momento in poi non ho più detto una parola, a prescindere da quello che mi chiedevano. Quando hanno visto che non parlavo, mi hanno urlato: “Stronza! Te lo do io qualcosa su cui riflettere, se non vuoi fornirci un resoconto accurato!” Mentre mi dicevano queste cose, uno di loro mi ha dato due forti pugni nel petto, per cui ho barcollato e sono caduta a corpo morto sul pavimento. Poi, mi ha presa a calci con violenza un paio di volte, mi ha tirata su dal pavimento e mi ha gridato di inginocchiarmi. Non ho obbedito, perciò mi ha presa a calci sulle ginocchia. L’ondata di dolore intenso che mi ha attraversata mi ha fatto cadere in ginocchio con un tonfo. L’uomo mi ha afferrata per i capelli, mi ha spinta con violenza verso il basso e poi, all’improvviso, mi ha tirato indietro la testa, costringendomi a guardare verso l’alto. Mi ha insultato mentre mi schiaffeggiava sul viso un altro paio di volte e l’unica sensazione che avvertivo era che il mondo stesse girando. Sono caduta subito a terra. Proprio in quel momento, il capo della polizia malvagia ha immediatamente notato l’orologio che avevo al polso. Fissandolo bramosamente, ha urlato: “Che hai lì, al polso?” Subito, uno dei poliziotti mi ha afferrato il polso e ha strappato via l’orologio con vigore, poi lo ha dato al suo “padrone”. Uno di loro mi ha afferrata per il colletto come se stesse sollevando un pulcino e mi ha tirata su dal pavimento per urlarmi: “Ah, sei tanto forte, vero? Se non parli, ecco cosa ti spetta!” Mentre diceva questo, mi ha colpito energicamente un altro paio di volte e di nuovo sono stata sbattuta a terra. A quel punto avvertivo un dolore tremendo in tutto il corpo e non avevo più forza per lottare. Mi sono sdraiata sul pavimento con gli occhi chiusi, senza muovermi. Nel mio cuore, ho subito supplicato Dio: “O Dio, non so quali altre crudeltà questa banda di poliziotti malvagi abbia intenzione di infliggermi. Sai che la mia levatura è bassa e che il mio corpo è debole. Ti imploro di proteggermi. Preferirei morire che essere un Giuda e tradirTi”. Dopo la mia preghiera, Dio mi ha dato fede e forza. Avrei preferito morire piuttosto che essere un Giuda tradendo Dio e i miei fratelli e sorelle. Sarei rimasta salda nel testimoniare Dio. Proprio allora, ho sentito qualcuno vicino a me che diceva: “Come mai non si muove più? È morta?” Dopodiché, qualcuno ha intenzionalmente poggiato un piede sulla mia mano e premuto forte mentre gridava con ferocia: “Alzati! Ti portiamo da un’altra parte”.
Poi, sono stata scortata all’Ufficio della Contea per la Pubblica Sicurezza. Quando siamo arrivati nella stanza degli interrogatori, il capo di quei poliziotti malvagi e altri due mi hanno circondata e mi hanno interrogata ripetutamente, camminando avanti e indietro davanti a me e cercando di costringermi a tradire i capi della mia Chiesa e i miei fratelli e sorelle. Quando hanno visto che ancora non avevo intenzione di dare loro le risposte che volevano sentire, quei tre, a turno, hanno preso a darmi schiaffi sul viso più e più volte. Non so quante volte sono stata colpita; l’unica cosa che riuscivo a sentire era il rumore degli schiaffi che mi colpivano sul volto, un rumore che sembrava risuonare forte nel silenzio della notte fonda. Quando avevano le mani indolenzite, quei poliziotti malvagi hanno iniziato a colpirmi con i libri. Mi hanno picchiata finché non sentivo più nessun dolore e il mio volto era gonfio e intorpidito. Alla fine, vedendo che da me non avrebbero ottenuto nessuna informazione utile, quei poliziotti violenti hanno tirato fuori una rubrica e, compiaciuti, hanno detto: “Abbiamo trovato questa nella tua borsa. Anche se non ci vuoi dire niente, abbiamo comunque un altro asso nella manica!” All’improvviso, mi sono sentita estremamente agitata: se chiunque dei miei fratelli o sorelle avesse risposto al telefono, sarebbe stato probabilmente arrestato. Vi era anche la possibilità che venisse implicata Chiesa e le conseguenze avrebbero potuto essere disastrose. Proprio in quel momento, mi è tornato in mente un passo tratto dalle parole di Dio: “Di tutto ciò che avviene nell’universo, non vi è nulla su cui Io non abbia l’ultima parola. C’è niente che non sia nelle Mie mani?” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Parole di Dio all’intero universo, Cap. 1”). “È giusto”, ho pensato tra me e me. “Tutte le cose e tutti gli eventi sono nelle mani di Dio, da Lui orchestrati e predisposti. Anche se si riesce o meno a fare una telefonata, dipende tutto interamente dalla decisione di Dio. Sono disposta a innalzare lo sguardo verso Dio e affidarmi a Lui e sottomettermi alle Sue orchestrazioni”. Perciò ho pregato Dio ripetutamente, implorandoLo di proteggere quei fratelli e sorelle. Il risultato è stato che i poliziotti hanno provato a chiamare quei numeri telefonici e alcune chiamate non hanno avuto alcuna risposta mentre, per le altre, non è stato affatto possibile effettuarle. Alla fine, sputando imprecazioni per la frustrazione, i poliziotti malvagi hanno lanciato la rubrica sul tavolo e hanno smesso di fare tentativi. Non ho potuto fare a meno di esprimere i miei ringraziamenti e le mie lodi a Lui.
Ciò nonostante, non si sono arresi e hanno continuato a interrogarmi sugli affari della Chiesa. Io non ho risposto. Agitati ed esasperati, hanno escogitato una mossa ancor più deprecabile per provare a farmi soffrire: uno di quei poliziotti malvagi mi ha costretta a mantenere una posizione semi-accovacciata e dovevo tenere le braccia aperte all’altezza delle spalle, senza potermi assolutamente muovere. Di lì a poco, le gambe mi hanno iniziato a tremare, non riuscivo più a tenere le braccia dritte e il mio corpo involontariamente ha iniziato a rialzarsi in piedi. Il poliziotto ha preso una spranga di ferro e mi fissava come una tigre osserva la preda. Appena mi sono rialzata in piedi, lui mi ha colpito sulle gambe in maniera brutale, provocandomi così tanto dolore che sono quasi ricaduta in ginocchio. Per la mezz’ora successiva, ogni volta che le gambe o le braccia si muovevano anche minimamente, lui immediatamente mi picchiava con la spranga. Non so quante volte mi abbia colpita. Poiché avevo mantenuto quella posizione semi-accovacciata per così tanto tempo, entrambe le gambe si sono gonfiate moltissimo e sentivo un dolore intollerabile, come se si fossero fratturate. Col passare del tempo, le mie gambe hanno iniziato a tremare ancor di più e i denti battevano in continuazione. Proprio in quel momento, mi è sembrato che le forze stessero per abbandonarmi. Nonostante ciò, quei poliziotti malvagi mi deridevano e mi ridicolizzavano, sogghignando in continuazione e rivolgendomi risate maligne, come si fa quando si cerca con crudeltà di costringere una scimmia a fare qualche acrobazia. Più osservavo i loro volti brutti e spregevoli, più odiavo quei poliziotti malvagi. Ho rammentato le parole di Dio: “Quando gli esseri umani sono pronti a sacrificare la propria vita, tutto diventa insignificante e nessuno può avere la meglio su di loro. Che cosa potrebbe essere più importante della vita? Perciò Satana diviene incapace di agire ulteriormente negli esseri umani, non c’è più nulla che possa fare all’uomo” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Interpretazione dei misteri delle ‘Parole di Dio all’intero universo’, Cap. 36”). Allora d’improvviso mi sono alzata e ho detto loro ad alta voce: “Non mi accovaccerò più. Condannatemi a morte, fate pure! Oggi non ho niente da perdere! Non ho nemmeno paura di morire, quindi come potrei avere paura di voi? Siete così grossi, eppure l’unica cosa che sembrate capaci di fare è maltrattare una ragazzina come me!” Sono rimasta sorpresa nel vedere che, dopo queste mie parole, quel gruppo di poliziotti malvagi mi ha gridato contro qualche altra imprecazione e poi ha smesso di interrogarmi.
Quel branco di poliziotti malvagi mi aveva tormentata per quasi tutta la notte; era giorno ormai quando si sono fermati. Mi hanno chiesto di mettere una firma e mi hanno detto che mi avrebbero trattenuta. Dopo di che, un poliziotto anziano, fingendosi gentile, mi ha detto: “Signorina, ascoltami, sei così giovane, nel fiore della giovinezza, quindi è meglio se ti sbrighi a dirci tutto quello che sai. Ti garantisco che farò in modo che ti rilascino. Se hai un qualsiasi problema, non esitare a rivolgerti a me. Guardati, hai il viso gonfio come una pagnotta. Non hai sofferto abbastanza?” Sentendolo parlare così, sapevo che stava soltanto cercando di convincermi a fare una specie di confessione. Mi è anche tornata alla mente una cosa che avevano detto i miei fratelli e sorelle durante le riunioni: per ottenere quello che vogliono, i poliziotti malvagi sono pronti a usare sia il bastone che la carota e ricorrono a ogni sorta di trucco per ingannare le persone. Pensando a questa cosa, ho risposto al poliziotto anziano: “Non faccia finta di essere una brava persona: fate tutti parte dello stesso gruppo. Che cosa volete che confessi? Quello che state facendo si chiama estorcere una confessione. È una punizione illegale!” Nel sentire queste parole, ha assunto un’espressione innocente e ha affermato: “Ma io non ti ho colpito nemmeno una volta. Sono loro che ti hanno picchiata”. Ero grata a Dio per avermi guidata e protetta, permettendomi di avere di nuovo la meglio sulla tentazione di Satana.
Dopo aver lasciato l’Ufficio della Contea per la Sicurezza Pubblica, mi hanno subito rinchiusa in un centro di detenzione. Appena abbiamo varcato il cancello principale, ho visto che quel posto era circondato da mura altissime sormontate da concertina elettrificata e, in ciascuno dei quattro angoli, vi era quella che sembrava una torre di guardia, all’interno della quale un poliziotto armato stava di sentinella. L’atmosfera generale era sinistra e terribile. Oltrepassato un cancello di ferro dopo l’altro, sono arrivata alla cella. Quando ho visto le malandate trapunte rivestite di lino sopra al gelido letto kang, l’uno e le altre scuri e sporchi, e ho sentito l’odore pungente e ripugnante che essi emanavano, non ho potuto evitare di avvertire un’ondata di disgusto che mi attraversava il corpo. All’ora dei pasti, ogni detenuto riceveva soltanto un piccolo panino al vapore che era inacidito e mezzo crudo. Sebbene fossi stata torturata dai poliziotti per metà della notte e non avessi mangiato nulla, la vista di quel cibo mi ha fatto davvero perdere l’appetito. Inoltre, avevo il viso così gonfio per le botte ricevute dalla polizia che sembrava teso come se fosse avvolto dal nastro adesivo. Avvertivo dolore anche solo nell’aprire la bocca per parlare, figuriamoci per mangiare. In quelle circostanze, il mio umore era davvero cupo e sentivo di aver subito una grande ingiustizia. Il pensiero che sarei davvero dovuta rimanere lì e sopportare un’esistenza tanto disumana mi ha toccata al punto che dagli occhi sono scese lacrime involontarie. La sorella con cui ero stata arrestata ha condiviso con me le parole di Dio, e ho compreso che Egli aveva permesso che finissi in quell’ambiente e ciò era segno che mi stava mettendo alla prova per vedere se fossi in grado di testimoniarLo. Si stava inoltre servendo di questa opportunità per perfezionare la mia fede. Una volta compreso questo, ho smesso di sentirmi vittima di ingiustizia e, dentro di me, ho iniziato a decidere che avrei sopportato qualsiasi avversità.
Dopo due settimane, il capo di quei poliziotti malvagi è tornato a interrogarmi. Vedendo che rimanevo calma e controllata, senza la minima paura, ha urlato il mio nome e ha gridato: “Dimmi sinceramente: in quale altro posto sei stata arrestata prima? Questa, senza dubbio, non è la prima volta che finisci dentro; altrimenti come potresti essere così calma e temprata, come se non avessi la minima paura?” Quando ho sentito queste parole, non ho potuto fare a meno di ringraziare e lodare Dio nel mio cuore. Egli mi aveva protetta e mi aveva dato coraggio, permettendomi così di affrontare quei poliziotti malvagi con totale assenza di timore. Proprio in quel momento, il mio cuore si è riempito di rabbia: “State abusando del vostro potere perseguitando le persone per il loro credo religioso, e arrestate, maltrattate e ferite senza alcun motivo quelli che credono in Dio. Non conoscete legge, né terrena né celeste. Io credo in Dio, percorro il giusto cammino e non ho violato la legge. Perché dovrei avere paura di voi? Non soccomberò alle forze malvagie della vostra banda!” Poi ho rimbeccato: “Pensa che fuori di qui io mi annoi così tanto da volere davvero venire qua dentro? Mi avete trattata ingiustamente e vessata! Qualsiasi ulteriore sforzo vostro per estorcermi una confessione o incastrarmi sarà inutile!” Nel sentire queste parole, si è arrabbiato così tanto che sembrava gli uscisse il fumo dalle orecchie. Ha urlato: “Maledizione, sei troppo testarda per dirci qualcosa. Non vuoi parlare, eh? Ti farò scontare tre anni di carcere e poi vedremo se inizierai a comportarti bene. Voglio proprio vedere se continuerai a essere testarda!” A quel punto, mi sentivo ben più che indignata. Ad alta voce ho risposto: “Sono ancora giovane, che vuole che siano tre anni per me? Sarò fuori dal carcere in men che non si dica”. In preda alla rabbia, il poliziotto malvagio si è subito alzato in piedi e ha ringhiato ai suoi lacchè: “Io mollo. Continuate voi a interrogarla”. Poi, se n’è andato, sbattendosi la porta alle spalle. Vedendo cosa era accaduto, i due poliziotti non mi hanno fatto altre domande: si sono limitati a scrivere una deposizione che mi hanno fatto firmare e poi se ne sono andati. Vedere l’espressione di sconfitta sui volti di quei poliziotti malvagi mi ha resa molto felice e, nel mio cuore, ho lodato la vittoria di Dio su Satana. Durante il secondo interrogatorio, hanno cambiato tattica. Appena sono entrati dalla porta, hanno finto di essere preoccupati per me: “Sei qui da tanto tempo. Come mai nessuno della tua famiglia è venuto a farti visita? Devono averti abbandonata. Che ne dici di chiamarli tu e chiedere che vengano a trovarti?” Queste parole mi hanno fatta sentire molto infelice e sconvolta, nonché sola e indifesa. Avevo nostalgia di casa e mi mancavano i miei genitori e il desiderio di libertà si faceva in me sempre più intenso. I miei occhi si sono involontariamente riempiti di lacrime, ma non volevo piangere davanti a quella banda di poliziotti malvagi. Nel silenzio del mio cuore, ho pregato Dio: “O Dio, in questo istante mi sento così infelice e soffro tanto, mi sento davvero indifesa. Ti supplico di aiutarmi. Non voglio che Satana veda la mia debolezza. Ad ogni modo, ora non riesco ad afferrare quale sia la Tua volontà. Ti prego di illuminarmi e guidarmi”. Dopo questa preghiera, mi è balenata nella mente un’idea improvvisa: quello era uno stratagemma astuto di Satana; il loro tentativo di farmi contattare la mia famiglia poteva benissimo essere un trucco per farli venire a pagare la cauzione, raggiungendo così il loro obiettivo di intascare denaro; o magari sapevano che tutti i membri della mia famiglia credevano in Dio e volevano usare quell’opportunità per arrestarli. Quei poliziotti malvagi erano davvero una fonte inesauribile di macchinazioni. Se non fosse stato per l’illuminazione di Dio, avrei probabilmente telefonato a casa. A quel punto, non sarei stata indirettamente un Giuda? Quindi, in segreto, ho dichiarato a Satana: “Vile diavolo, non ti permetterò assolutamente di ingannarmi”. Poi, ho detto con nonchalance: “Non so perché la mia famiglia non sia venuta a trovarmi. Qualunque cosa mi facciate, non m’importa!” La polizia malvagia non aveva altre carte da giocare. Dopo di che, non mi ha più interrogata.
È passato un mese. Un giorno, mio zio improvvisamente è venuto a trovarmi, dicendo che stava cercando di farmi uscire da quel posto e che sarei stata rilasciata di lì a pochi giorni. Quando sono uscita dalla sala colloqui, mi sentivo estremamente felice. Pensavo che finalmente avrei rivisto la luce del giorno e anche i miei fratelli e sorelle e i miei cari. Quindi, ho iniziato a sognare a occhi aperti e non vedevo l’ora che mio zio venisse a prendermi. Ogni giorno, tenevo le orecchie bene aperte per sentire le guardie che mi chiamavano per dirmi che era il momento di andarmene. Come previsto, una settimana dopo, una guardia è venuta davvero a chiamarmi, e il cuore mi batteva così forte che sembrava stesse per uscirmi dal petto. Ero piena di gioia quando sono arrivata alla sala colloqui. Tuttavia, quando mio zio mi ha vista, ha chinato la testa. Dopo parecchio tempo, ha detto sconsolato: “Hanno già chiuso il tuo caso. Sei stata condannata a tre anni”. Quando ho sentito queste parole, ero attonita e la mia mente era completamente vuota. Ho lottato per ricacciare indietro le lacrime e sono riuscita a non piangere. Era come se non riuscissi più a sentire una parola che mio zio ha detto in seguito. Sono uscita dalla sala colloqui in uno stato di trance, con i piedi che sembravano riempiti di piombo, e ogni passo che facevo era più pesante di quello precedente. Non ricordo come abbia fatto a tornare nella mia cella. Una volta lì, sono crollata a terra. Ho pensato tra me e me: “Ogni giorno di questa esistenza disumana, nell’ultimo mese o giù di lì, mi è sembrato un anno: come riuscirò a resistere per tre lunghi anni di questa vita?” Più ci riflettevo, più cresceva la mia angoscia e più indistinto e imperscrutabile iniziava a sembrare il mio futuro. Incapace di trattenere ulteriormente le lacrime, sono scoppiata a piangere. Avevo pensato che come minorenne non sarei mai stata condannata, o che al massimo sarei stata rinchiusa solo per qualche mese. Ero convinta di dover sopportare soltanto un po’ di dolore e difficoltà in più e resistere un po’ più a lungo, e che poi sarebbe finita; non mi era mai venuto in mente che avrei potuto passare tre anni in prigione. In preda al dolore, mi sono presentata di nuovo dinanzi a Dio. Ho aperto il mio cuore a Lui, dicendo: “O Dio, so che tutte le cose e tutti gli eventi sono nelle Tue mani, ma, in questo momento, sembra come se il mio cuore fosse stato completamente svuotato. Sento che sto per crollare: credo che sarà davvero difficile per me sopportare tre anni di sofferenza in prigione. O Dio, Ti prego di rivelarmi la Tua volontà e Ti imploro di donarmi fede e forza, così che io possa sottomettermi completamente a Te e accettare con coraggio quello che mi è capitato”. Dopo questa preghiera, ho pensato alle parole di Dio: “Negli ultimi giorni dovete rendere testimonianza a Dio. Per quanto sia grande la vostra sofferenza, dovreste camminare fino alla fine, e anche al vostro ultimo respiro, dovete ancora essere fedeli a Dio e alla Sua mercé; solo questo è vero amore per Lui e una testimonianza forte e clamorosa” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Solamente affrontando prove dolorose puoi conoscere l’amabilità di Dio”). Le parole di Dio mi hanno dato fede e forza ed ero disposta a sottomettermi. Indipendentemente da ciò che mi sarebbe potuto capitare o da quanta sofferenza avrei potuto subire, non avrei affatto incolpato Dio; Gli avrei reso testimonianza. Due mesi dopo, sono stata trasportata in un campo di lavoro. Quando ho ricevuto i documenti della mia sentenza e li ho firmati, ho scoperto che la condanna era stata commutata da tre anni a uno solo. Nel mio cuore, ho ringraziato e lodato Dio più e più volte. Egli stava orchestrando tutto e, in quella cosa, vedevo l’immenso amore e protezione che Egli aveva per me.
Al campo di lavoro, ho visto un lato ancora più meschino e brutale dei poliziotti malvagi. Ci alzavamo prestissimo la mattina e andavamo a lavorare, ed eravamo pesantemente caricati di compiti da svolgere quotidianamente. Dovevamo lavorare per otto lunghissime ore tutti i giorni e, a volte, lavoravamo senza sosta per diversi giorni e diverse notti di fila. Alcuni dei prigionieri si ammalavano e avevano bisogno di essere attaccati a una flebo, e la velocità di infusione veniva regolata al massimo così che, appena terminata la flebo, potessero tornare velocemente all’officina e rimettersi al lavoro. Di conseguenza, la maggioranza dei detenuti contraeva, in seguito, alcune malattie che erano molto difficili da curare. Poiché lavoravano lentamente, alcuni erano sottoposti a frequenti abusi verbali da parte delle guardie, che usavano un linguaggio disgustoso semplicemente intollerabile da sentire. Alcuni violavano le regole durante il lavoro, quindi venivano puniti. Ad esempio, venivano “messi alla corda”, cioè dovevano inginocchiarsi a terra con le mani legate dietro la schiena, mentre le braccia venivano sollevate forzatamente e dolorosamente fino all’altezza del collo. Altri venivano legati agli alberi con catene di ferro, come si fa con i cani, e fustigati senza pietà con una frusta. Alcuni, incapaci di tollerare queste torture spietate, spesso provavano a morire di fame, ma, poi, le guardie malvagie li ammanettavano, caviglie e polsi, e li tenevano ben fermi a terra, inserendo a forza sondini e liquidi nel loro corpo. Temevano che questi prigionieri potessero morire, non perché dessero valore alla vita, ma perché avevano paura di perdere la manodopera a basso costo che essi fornivano. Le empietà commesse dalle guardie carcerarie erano davvero innumerevoli, come erano orrendamente violenti e sanguinosi gli incidenti che accadevano. Tutto ciò mi ha fatto vedere con molta chiarezza che il governo del Partito Comunista Cinese è la personificazione terrena di Satana che dimora nel mondo spirituale; è il più malvagio di tutti i diavoli e le prigioni soggette al suo governo sono l’inferno sulla terra, non solo di nome, ma anche di fatto. Ricordo le parole sulla parete dell’ufficio in cui sono stata interrogata: “È vietato picchiare le persone arbitrariamente o sottoporle a punizioni illegali e lo è ancor più ottenere confessioni tramite la tortura”. Ciò nonostante, nella realtà, le loro azioni erano in pieno contrasto con queste regole. Avevano picchiato senza decenza me, una ragazza che non era ancora nemmeno un’adulta, e mi avevano sottoposta a punizioni illegali; e poi mi avevano condannata solamente per via della mia fede in Dio. Tutto ciò mi aveva permesso di vedere chiaramente i trucchi usati dal governo del PCC per raggirare le persone mentre presentavano una falsa apparenza di pace e prosperità. Era proprio come aveva detto Dio: “Il diavolo si avvinghia stretto a tutto il corpo dell’uomo, gli cala un velo su entrambi gli occhi e gli sigilla ermeticamente le labbra. Il re dei demoni imperversa da diverse migliaia di anni e ancora oggi tiene sotto stretta sorveglianza la città fantasma, come se fosse un impenetrabile palazzo di demoni; questo branco di cani da guardia, nel frattempo, scruta il territorio attorno a sé con occhi sgranati e torvi, col terrore che Dio lo colga di sorpresa e lo spazzi via, lasciandolo privo di un luogo dove vivere felice e in pace. Come può la popolazione di una città fantasma come questa aver mai visto Dio? Hanno mai goduto dell’amabilità e dell’amorevolezza di Dio? Cosa capiscono loro delle questioni del mondo umano? Chi di loro è in grado di comprendere la spiccata volontà di Dio? Desta poca meraviglia, allora, che Dio incarnato rimanga completamente nascosto: in una società di tenebra come questa, dove i demoni sono spietati e disumani, come potrebbe il re dei demoni, che uccide gli uomini senza battere ciglio, tollerare l’esistenza di un Dio che è amabile, gentile e anche santo? Come potrebbe applaudire e festeggiare l’avvento di Dio? Sono dei leccapiedi! Ripagano la gentilezza con l’odio, da lungo tempo disdegnano Dio, Lo offendono, sono feroci oltre ogni limite, non hanno il minimo riguardo per Dio, devastano e saccheggiano, hanno perso del tutto la coscienza, contrastano ogni forma di coscienza e con la tentazione inducono gli innocenti all’insensatezza. Antenati dei tempi antichi? Amati condottieri? Si oppongono tutti a Dio! La loro intromissione ha lasciato tutto ciò che è sotto il cielo in uno stato di tenebra e caos! Libertà religiosa? I diritti e interessi legittimi dei cittadini? Sono tutti trucchi per coprire il peccato!” (La Parola, Vol. 1: La manifestazione e l’opera di Dio, “Lavoro e ingresso (8)”).
Dopo aver sperimentato la persecuzione di quei poliziotti malvagi, ero totalmente convinta di questo passo tratto dalle parole pronunciate da Dio, e ormai ne avevo conoscenza ed esperienza concrete: il governo del PCC è davvero una legione demoniaca che odia Dio e si oppone a Lui, e che propugna il male e la violenza; e vivere sotto l’oppressione di quel regime satanico non è diverso dal vivere in un inferno umano. Al contempo, nel campo di lavoro, avevo visto con i miei stessi occhi la bruttezza di ogni genere di persona: i volti ripugnanti di quei serpenti opportunisti e adulatori che ossequiavano i capi delle guardie, i volti diabolici delle persone ferocemente violente che esercitavano prepotenze sfrenate sui deboli, e così via. Per me, che non avevo ancora iniziato la mia esistenza da adulta, durante quell’anno di vita in prigione, ho finalmente visto con chiarezza la corruzione dell’umanità. Ho osservato con i miei occhi la slealtà nei cuori delle persone e ho compreso quanto possa essere scellerato il mondo umano. Ho anche imparato a distinguere il positivo dal negativo, il nero dal bianco, ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, ciò che è buono da ciò che è cattivo, e ciò che è grandioso da ciò che è deprecabile; ho visto con chiarezza che Satana è brutto, malvagio, brutale, e che solo Dio è il simbolo della santità e della giustizia. Solo Dio simboleggia la bellezza e la bontà; solo Dio è amore e salvezza. Con Dio a vegliare su di me e a proteggermi, quell’anno indimenticabile mi è passato molto velocemente. Ora, ripensandoci, comprendo che, sebbene io abbia subìto sofferenza fisica durante quell’anno di vita in prigione, Dio ha usato le Sue parole per condurmi e guidarmi, permettendo così alla mia vita di maturare. Quella sofferenza e quella prova sono la benedizione che Dio ha riservato appositamente per me. Sia lodato Dio Onnipotente!
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